Il mercante di cartagine by Gisbert Haefs

Il mercante di cartagine by Gisbert Haefs

autore:Gisbert Haefs
La lingua: ita
Format: mobi, epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Bomilcare andò nell'appartamento di Aspasia a prendere alcune cose che gli servivano per il viaggio: abiti, il borsellino con le monete già troppo leggero, un coltello. Daniel lo attese in fondo alla scalinata. Qadhir accompagnò Letilio alla locanda del Consiglio, dove si trovava la bisaccia da viaggio del romano. Si incontrarono sulla Via Grande, davanti alla bottega di Aspasia, e si diressero tutti e quattro alla fortezza.

Regnava una calma singolare; nonostante l'ora tarda, avrebbe dovuto esserci più gente per la strada. Daniel borbottava piano, tenendo la mano destra sul manico del coltello. Un uomo si fece loro incontro, conducendo un asino con un otre per l'acqua vuoto. Due ubriachi uscirono barcollando da un'osteria poco illuminata; uno di loro abbaiò qualcosa alla luna, una specie di canzone che, come osservò Daniel, avrebbe potuto fare arricciare le unghie dei piedi all'antichissima statua di ferro del dio, mentre l'altro si fermò davanti a un palo che reggeva una fiaccola, armeggiò con il suo perizoma e quindi pisciò impavido. All'angolo successivo erano appoggiate due prostitute attempate; i loro volti, truccati in modo troppo vistoso, sembravano macchie nella penombra.

Raggiunsero la fortezza indisturbati. Bomilcare si recò velocemente nell'edificio a sud della porta di Tynes per rifornirsi di armi: tre pettorali di cuoio ricoperti di placche di bronzo, cinturoni, tre spade corte, altri coltelli.

Nelle stalle un sorvegliante sonnacchioso consegnò loro quattro cavalli. Poi svegliò un garzone, che montò dietro Letilio e che avrebbe riportato indietro gli animali.

Quando giunsero all'ultima svolta della strada prima della casa di campagna di Amilcare, che sotto la luna brillava come un incantesimo di panna, lasciarono gli animali al garzone, cui Bomilcare gettò mezzo "shiqlu". Doveva essere passata la mezzanotte; un dolce vento da nord portava il mormorio sordo del mare, insieme all'odore del sale. Tra i cespugli si muovevano piccoli animali, mentre lontano gridava un uccello notturno.

In silenzio e senza far rumore si avvicinarono al palazzo dove tutto sembrava dormire. Daniel, che era pratico del luogo, durante il cammino aveva già descritto loro due stanze al primo piano, dove c'erano letti sempre pronti per gli ospiti inattesi.

L'entrata, sormontata da una tettoia sorretta da colonne, era aperta; nel salone tremolava una minuscola lampada a olio. Posarono le loro bisacce e attesero i gesti delle mani di Daniel.

«Lassù vedo qualcosa» sussurrò. «Forse Nederbal è ancora alzato. Comunque... piano. Il riguardo è la virtù dell'ospite che voglia essere il benvenuto.»

«Nessuna virtù» disse Letilio. «La virtù è inutile.»

«Stai zitto, inutile romano.»

Seguirono Daniel, che sembrava scivolare su per le scale senza far rumore. Il debole chiarore che lui aveva visto giungeva da una stanza nell'ala settentrionale, dove si trovavano anche le terrazze.

Udirono voci soffuse; una era quella di Nederbal.

«Non so» disse. «Naturalmente si può fare. Mi ha dato questo potere per i casi di necessità. Ma questo non è un caso di necessità.»

«Non deve venirne a sapere nulla.» La voce del secondo uomo era lieve e chiara; sembrava giovane e spensierata. «Rifletti: in un caso di necessità, dovresti restituire la somma più i cinque centesimi per ogni anno; minino cinque centesimi.



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